L’ambizione principale di tutti i traduttori professionali è quella di rendersi “invisibili”. In altre parole, chi legge il testo tradotto non si deve accorgere che c’è stata una traduzione perché il testo deve scorrere in modo naturale e fluido, con lo stesso tono, stile e significato dell’originale. Una sfida che vale soprattutto nel campo delle traduzioni letterarie, ma anche per quelle di marketing, finanziarie o giuridiche: non mettere la personale impronta sul testo da tradurre, cancellare il proprio intervento affinché il testo tradotto rimanga il più vicino possibile all’originale.
L’essere “invisibili” significa anche rinunciare all’aspirazione di brillare o di mettersi in mostra. Si tratta di mettersi al servizio del testo con rispetto, senza mai avere la pretesa di migliorare il testo da tradurre.
Credo che sia soprattutto una questione di umiltà e di capire che il “successo” – o almeno la soddisfazione del traduttore – non deve consistere nel mostrare la propria abilità o la propria padronanza della lingua di partenza. Se questo è l’obiettivo, è meglio fare lo scrittore. Perché il nostro lavoro è al servizio degli altri, ma sempre e soprattutto a servizio della parola.
Ma allora ci si potrebbe chiedere: perché non usufruire di traduttori automatici invece di traduttori “invisibili”?
Cos’ ha un umano che una macchina non ha?
Un umano può capire la situazione culturale sottostante il testo da tradurre, colorato non solo dalle varie sfumature di significato insite in ogni parola o frase ma anche dall’ambiente culturale sottostante. Può poi riprodurre quel contesto in un’altra lingua, usando un insieme di norme culturali più vicine alla cultura del pubblico di destinazione. Ogni parola o frase, ogni idioma usato da un traduttore è il risultato di una scelta. I concetti, infatti, sono spesso modellati a seconda di come vengono presentati. Si può, ad esempio, rimanere fedele al significato di un testo e allo stesso tempo dare alla traduzione un tono che tende a scoraggiare il lettore e lo fa allontanare dal messaggio che il documento voleva promuovere. Dunque, se da un lato il traduttore deve restare invisibile e fedele all’originale, dall’altro ha lo stesso potere dello scrittore originale: può modellare il modo in cui i fatti vengono percepiti attraverso la scelta delle parole, lo stile adottato e le decisioni prese riguardo all’idioma. Una cosa che le macchine non sono in grado di fare.
Il traduttore quindi non è invisibile.
Quanto esposto finora è alla base dell’etica professionale di un traduttore, che cerca sempre un equilibrio tra le scelte di traduzione e la fedeltà al testo originale. Tuttavia, sempre di più l’invisibilità del traduttore viene (consapevolmente o inconsapevolmente) confusa con l’invisibilità della professione.
…mi ricordo perfettamente di quando lo comunicai a mio padre:
“Voglio fare l’interprete.”
“E che è un lavoro questo?”
P.M. Noseda “La voce degli altri”
I traduttori professionisti (e i clienti che li assumono) dovrebbero essere consapevoli che un professionista del settore è un agente attivo e un interprete che deve navigare nella pluralità e nelle varie sfumature di significato, così come nell’ambiente culturale sottostante in cui il testo è stato prodotto.
Infatti, elevare il traduttore al ruolo di collaboratore, consulente o agente creativo può portare a un testo tradotto ancora più ricco, più preciso e, ironicamente, più efficace.
Quante volte mi sono trovata in situazioni in cui mi veniva richiesto un servizio di traduzione di natura commerciale ma allo stesso tempo mi veniva richiesto di immedesimarmi nel cliente alla ricerca di possibili soluzioni commerciali o su come affrontare certe trattative. In pratica, mi è stato richiesto di “pensare insieme al cliente”.
Un canale di comunicazione aperto e la volontà di collaborare da entrambe le parti possono fare molto, dunque, per riportare alla luce il lavoro dei traduttori. E renderli così “visibili” nella loro invisibilità.
Sul sito del Netwerk Vertalers Italiaans trovate tutti i traduttori “visibili” del nostro network.
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